L'origine dell'intervento parlamentare dell'ex "senatore" urano Isidor Baumann (PPD) si basa su una sentenza del Tribunale federale del luglio 2017 concernente il salario minimo nel Cantone di Neuchâtel che, secondo l'autore della mozione, avrebbe inutilmente indebolito il partenariato sociale e i contratti collettivi nazionali di lavoro.
Una posizione, quest'ultima, difesa in aula dal consigliere agli Stati Benedikt Würth (PPD/SG) secondo cui i contratti collettivi di lavoro stipulati dai partner sociali, pur essendo dichiarati di obbligatorietà generale dal Consiglio federale a livello nazionale, possono ora essere resi inefficaci da disposizioni cantonali.
A nome di una minoranza, il "senatore" sangallese del PS, Paul Rechsteiner, ha difeso l'introduzione dei salari minimi, sostenendo che tale provvedimento non mette in pericolo la sottoscrizione futura di altri CCL, in cui generalmente i salari sono superiori a quelli minimi cantonali. "Un evoluzione di cui rallegrasi", ha aggiunto.
Anche per il consigliere federale Guy Parmelin - che consigliava di bocciare l'atto parlamentare - non vi è alcun motivo per un primato di principio dei contratti collettivi di lavoro di obbligatorietà generale sui salari minimi.
Pur condividendo l'idea espressa nella mozione secondo cui il partenariato sociale è un pilastro importante del successo del modello svizzero, il ministro dell'economia ha fatto notare che la forza della Confederazione è anche legata alla volontà di vivere la sua molteplicità nell'unità, come dimostra il federalismo stesso.
I Cantoni hanno la facoltà di intervenire in ambito sociale purché ciò non sia limitato dalla Costituzione federale, ha sostenuto il ministro democentrista. Nel caso di Neuchâtel e della sentenza del Tribunale federale, la corte è giunta alla conclusione che l'introduzione di un salario minimo per tutti i lavoratori del Cantone è una misura di politica sociale.
Un salario minimo cantonale può quindi essere ammesso a tale titolo soltanto se il suo importo è destinato a coprire il fabbisogno vitale e non supera quanto è indispensabile per garantire condizioni di vita dignitose. Ai partner sociali rimane quindi un margine di manovra sufficiente per fissare le remunerazioni nel quadro dei contratti collettivi di lavoro.