Quest'ultima mira a garantire il controllo e la partecipazione democratica e a impedire l'esportazione di materiale militare in Paesi teatro di violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani o di guerre civili. Prevede che i criteri di autorizzazione per l'export, oggi disciplinati a livello di ordinanza, vengano iscritti nella Costituzione. Ciò significa che popolo e cantoni sarebbero chiamati a decidere in merito a eventuali modifiche.
Il testo è sostenuto dalla sinistra. "Questa iniziativa è troppo importante a livello etico, a livello democratico e per il ruolo della Svizzera nella promozione della pace", ha affermato Marina Carobbio (PS/TI). Il Consiglio federale ha dimostrato negli ultimi anni di non avere una linea coerente sul tema, ha aggiunto la ticinese, ricordando la prevista modifica dell'ordinanza sul materiale bellico nel 2018, che portò a una reazione nella società civile e al lancio dell'iniziativa.
Nella popolazione c'è una grossa sensibilità su dove finisca il materiale bellico prodotto in Svizzera, e "sempre più spesso termina nelle mani sbagliate", ha fatto notare Daniel Jositsch (PS/ZH), definendo il testo in votazione "moderato". Il Consiglio federale non dovrebbe essere l'unico a decidere modificando le ordinanze. Il Parlamento e la popolazione devono potersi esprimere, ha da parte sua aggiunto Lisa Mazzone (Verdi/GE).
Per la destra non è invece opportuno un disciplinamento a livello costituzionale. Ciò comporterebbe un profondo trasferimento di competenze che limiterebbe in misura eccessiva il margine di manovra del Consiglio federale, ha ammonito Werner Salzmann (UDC/BE). L'accettazione metterebbe in discussione il regime speciale sulla fornitura di pezzi di ricambio, è stato inoltre rilevato. Le imprese svizzere non potrebbero più adempiere in tutti i casi ai loro obblighi contrattuali nei confronti degli acquirenti stranieri perché potrebbe essere necessario negare le forniture di pezzi di ricambio senza valide ragioni.
Ciò potrebbe compromettere la reputazione della Svizzera come partner economico affidabile e indebolire le industrie rilevanti per la sicurezza che operano in Svizzera. "La crisi del coronavirus ci ha insegnato che non siamo indipendenti dall'estero", ha per esempio rilevato Thierry Burkart (PLR/AG).
Il Consiglio federale comprende le preoccupazioni dei promotori, ha rilevato il ministro dell'economia Guy Parmelin, aggiungendo però che il testo si spinge troppo lontano. Oltretutto la definizione di "paese democratico" non è abbastanza precisa, e causerebbe non poche difficoltà, ha aggiunto. Proprio per questo l'Esecutivo ha proposto un controprogetto indiretto, i cui contenuti hanno acceso gli animi nel plenum.
La proposta del Governo prevede un disciplinamento a livello di legge e consente così al popolo di avere l'ultima parola facendo capo al referendum facoltativo. Elimina le deroghe di esportazione per i paesi che violano gravemente e sistematicamente i diritti umani. Le vendite a Paesi in guerra civile continuerebbero ad essere vietate.
Il controprogetto - ed è stato questo il punto più discusso - prevedeva una deroga per il Governo da questi criteri di autorizzazione in circostanze eccezionali, per salvaguardare gli interessi di politica estera o di sicurezza nazionale.
Una deroga mal digerita a sinistra, ma anche al centro, poiché secondo questi schieramenti indebolirebbe troppo il controprogetto. Oltretutto, per Carlo Sommaruga (PS/GE) il suo margine di interpretazione è troppo ampio. "Quali sono gli interessi del Paese, le questioni di sicurezza?", si è chiesto.
"Il Consiglio federale può derogare solo per periodi limitati, in un quadro legale definito e deve sempre e ancora rispettare il diritto internazionale e il commercio delle armi", ha replicato Parmelin. Le tendenze attuali mostrano che i paesi occidentali, principali partner commerciali della Svizzera, potrebbero di nuovo essere coinvolti in conflitti, ha rilevato il ministro, citando le tensioni tra Nato e Russia. Il Governo ha bisogno di un margine di manovra se la situazione si aggravasse, ha sostenuto invano.
L'articolo è stato bocciato, contro l'avviso della commissione, con 22 voti a 20 e 2 astensioni. Altre due proposte di minoranza della sinistra sono state affossate. Le esportazioni saranno vietate solo se c'è il rischio che il materiale bellico sia usato contro i civili nel paese di destinazione. La consegna di pezzi di ricambio per materiale già autorizzato sarà consentita.
Il dossier va al Nazionale.
Export in crescita
In base ai dati forniti dalla Segreteria di Stato dell'economia (Seco), le esportazioni di materiale bellico hanno raggiunto livelli record nel 2020 aumentando del 24% rispetto all'anno precedente. Complessivamente, le imprese svizzere hanno esportato materiale bellico per un valore di 901,2 milioni di franchi in 62 paesi.
L'Europa rimane il più grande acquirente di armi svizzere. Ma anche l'Arabia Saudita e il Bahrein, che sono coinvolti nella guerra in Yemen, sono tra i clienti di Berna. Così come l'Indonesia e il Brasile, dove i diritti umani sono regolarmente messi in discussione.