Con questa motivazione, il Consiglio degli Stati non è entrato nel merito (25 voti a 17 e una astensione) su un disegno di legge governativo frutto di una mozione dell'ex "senatore" Fabio Abate (PLR/TI) che avrebbe voluto iscrivere nella Legge federale sui distaccati (LDist) il rispetto del salario minimo laddove esiste.
La mozione Abate
Alla base della mozione Abate del 2018, approvata dai due rami del Parlamento, c'è l'introduzione, nei cantoni di Neuchâtel, Giura e Ticino (a cui si sono aggiunti nel frattempo Ginevra e Basilea Città), di leggi sul salario minimo per contrastare il dumping sociale e salariale, ossia la concorrenza sleale dall'estero.
La revisione della legge prevede la possibilità di imporre ai datori di lavoro esteri che inviano i propri dipendenti in Svizzera anche il rispetto delle condizioni salariali minime prescritte a livello cantonale. Questo aspetto non è al momento regolato nella LDist.
Per rispettare le norme salariali, le aziende e i relativi lavoratori dislocati dovrebbero rientrare nel campo d'applicazione delle leggi cantonali in materia. Il rispetto delle disposizioni sarebbe controllato dai Cantoni in base al diritto cantonale.
Un disegno rispettoso delle competenze
Nelle intenzioni del Consiglio federale, ha affermato il ministro dell'economia Guy Parmelin, la proposta terrebbe conto della ripartizione delle competenze tra Cantoni e Confederazione stabilita nella Costituzione federale e garantirebbe l'osservanza del principio di non discriminazione sancito nell'Accordo sulla libera circolazione tra la Svizzera e l'UE: tutti i datori di lavoro i cui lavoratori sono attivi in un Cantone che prevede una legge sul salario minimo sono trattati allo stesso modo.
Stando alla sinistra, sostenuta anche dal Centro, battutasi per l'entrata nel merito, si tratta di inserire nella legge sui lavoratori distaccati anche il rispetto dei salari minimi cantonali, per ragioni di sicurezza giuridica e, soprattutto, per rispondere ai problemi di diversi cantoni di frontiera alle prese con un marcato dumping salariale. Agire a livello nazionale è tanto più necessario come dimostrano le risposte positive fornite da 23 cantoni durante la procedura di consultazione.
Non entrare in materia verrebbe considerato una provocazione da quei cantoni di frontiera come il Ticino, ha affermato Paul Rechsteiner (PS/SG), che deve fare i conti con una regione vicina, la Lombardia, che conosce salari orari nettamente più bassi di quelli praticati nel suo territorio.
A sostegno di Rechsteiner, si sono accodati i colleghi di partito Christian Levrat (FR) e Marina Carobbio Guscetti (TI), spalleggiati anche Charles Julliard (Centro/JU), secondo i quali si tratta di agire contro la concorrenza sleale e di non minare la credibilità della libera circolazione, specie agli occhi di quelle regioni confrontate con problemi immensi, come il fenomeno della sostituzione dei lavoratori indigeni, come ricordato nel suo intervento dalla "senatrice" Carobbio.
Diversi oratori di destra, tra cui Ruedi Noser (PLR/ZH) e Benedikt Würth (Centro/SG), hanno rammentato che la fissazione di salari minimi cantonali è una misura di politica sociale la cui attuazione spetta ai Cantoni, mentre la LDist rientra nell'ambito della politica economica, di competenza della Confederazione.
A tale riguardo, Guy Parmelin ha spiegato che il progetto governativo risponde proprio a questo dilemma, messo in rilievo da una sentenza del Tribunale federale, e crea in questo modo una maggiore sicurezza giuridica. Sia Parmelin che i sostenitori della legge hanno aggiunto, inoltre, che i Cantoni che non conoscono un salario minimo non saranno obbligati a rispettarlo.
Nonostante l'insistenza, la maggioranza del plenum non si è piegata: a suo parere, non è necessario legiferare a livello nazionale, poiché a suo avviso i Cantoni possono risolvere da soli il problema, anche se non è sempre facile come dimostra il caso giurassiano, ricorrendo alla commissioni paritetiche o ad altri organismi, ossia al tradizionale partenariato sociale.