(ats) Il timore di un'ondata di cause e di nuocere all'attrattiva della piazza economica è stato il motivo che ha spinto oggi una maggioranza, risicata, del Consiglio degli Stati a respingere il controprogetto indiretto all'iniziativa popolare "Per imprese responsabili", adottato invece dal Consiglio nazionale l'estate scorsa.

Soprattutto per gli esponenti del PLR e dell'UDC, e diversi PPD, le multinazionali svizzere non devono vedersi imporre regole più severe per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani o gli standard ambientali all'estero.

Senza sorprese, con 25 voti a 14 e 3 astenuti, il plenum ha poi raccomandato di respingere l'iniziativa. I promotori del testo avevano fatto sapere di essere pronti a ritirare la loro proposta qualora il controprogetto indiretto fosse stato accolto dal Parlamento. Il dossier ritorna al Nazionale.

Nel suo messaggio alle Camere, il Consiglio federale auspicava la bocciatura dell'iniziativa senza opporvi alcuna controproposta. Oggi i "senatori" hanno seguito questa raccomandazione, difesa in aula dalla consigliera federale Karin Keller-Sutter, non entrando nemmeno nel merito (22 voti a 20) del controprogetto, nonostante la raccomandazione contraria della commissione preparatoria.

L'iniziativa, depositata il 10 ottobre 2016, chiede che le imprese che hanno la loro sede statutaria, l'amministrazione centrale o il centro d'attività principale in Svizzera debbano rispettare, sia nella Confederazione che all'estero, i diritti umani riconosciuti e le norme ambientali internazionali. Le imprese potranno inoltre essere chiamate a rispondere non soltanto dei propri atti, ma anche di quelli delle aziende che controllano economicamente senza parteciparvi sul piano operativo.

Il controprogetto

Il controprogetto approvato dal Nazionale lo scorso giugno non andava così lontano, in particolare in materia di responsabilità. Nelle intenzioni della Camera del popolo, dovevano essere esclusi dalla responsabilità i gestori e dirigenti delle società madri per comportamenti scorretti di società controllate. Inoltre la responsabilità avrebbe riguardato solo i danni alla vita e all'integrità personale o la violazione del diritto di proprietà.

Le imprese non avrebbero dovuto rispondere di alcun danno se avessero provato di aver adottato misure di protezione dei diritti dell'uomo e dell'ambiente previste dalla legge per impedirlo o che non potevano influenzare il comportamento di un'impresa controllata.

Al centro del controprogetto v'è la definizione del dovere di diligenza. Il consiglio di amministrazione di una società anonima avrebbe dovuto identificare i rischi che rappresenta l'attività di tale società per i diritti umani e l'ambiente, adottare misure e rendere conto.

Il dovere di diligenza avrebbe dovuto applicarsi alle grandi imprese che nel corso di due esercizi consecutivi avessero superato due dei tre valori seguenti: totale del bilancio di 40 milioni di franchi, giro d'affari di 80 milioni, effettivo di 500 impieghi a tempo pieno in media annua. Ciò rappresenterebbe circa 670 aziende.

Fine dell'impunità

Per diversi sostenitori di una regolamentazione più stringente delle attività delle multinazionali, l'autoregolamentazione attuale non basta. "È sufficiente dare un'occhiata alla stampa romanda degli ultimi mesi per rendersene conto", ha dichiarato Christian Levrat (PS/FR), facendo riferimento ai problemi che hanno interessato alcune grandi aziende in Paesi esteri coinvolte in violazioni dei diritti umani e in grossi problemi ambientali.

Levrat, sostenuto in aula da diversi "senatori" anche di partito diverso, ha rinfacciato a coloro che vogliono lo status quo di "fare come gli struzzi", ossia di non voler vedere un problema che mette in pericolo la reputazione delle aziende e della stessa Svizzera. A suo dire, l'iniziativa rappresenta "una benedizione" perché ci obbliga ad agire di nostra iniziativa, senza attendere, come è stato nel caso del segreto bancario, le pressioni dall'estero.

Il tempo dell'impunità per chi si arricchisce sulla pelle dei bambini o dell'ambiente è finito, ha aggiunto il "senatore" friburghese. Per Anne Seydoux-Christe (PPD/JU), se da noi succedesse quello che capita in certi Paesi poveri in cui abbondano le materie prime, dove la corruzione è epidemica, "sarebbe la rivoluzione". "Forse le vite di queste persone valgono meno delle nostre?".

Nessuna valanga di denunce

Sia la "senatrice" del PPD che Robert Cramer (Verdi/GE) hanno negato che il controprogetto, se accolto, possa sfociare su una valanga di denunce contro le imprese elvetiche. Il controprogetto prevede tutta una serie di limitazioni proprio per evitare questo genere di conseguenze.

Daniel Jositsch (PS/ZH) ha evocato poi le difficoltà che dovrebbero superare certe organizzazioni per promuovere una causa in Svizzera contro una multinazionale che può mettere in campo decine di avvocati grazie alla sua forza finanziaria."È facile capire chi sia Davide e chi Golia", ha puntualizzato.

Sia Jositsch che Cramer hanno poi ricordato che aziende, come Richemont, Caterpillar e Firmenich ci hanno chiesto di legiferare, proprio perché favorevoli ad avere regole chiare in materia. Solo Economiesuisse, per cecità ideologica, non ne vuole sapere.

Non compromettere piazza economica

Argomenti che non hanno fatto breccia su una parte, poi risultata maggioritaria, del plenum. Per Beat Rieder (PPD/VS), sia l'iniziativa che il controprogetto potrebbero avere conseguenze incalcolabili per le circa 700 aziende interessate e per i tribunali, che rischiano di essere sommersi dal lavoro, specie se fossero obbligati a raccogliere informazioni all'estero.

Anche il dovere di vigilanza rischia di trasformarsi in un enorme dispendio amministrativo, senza che la situazione in loco migliori a livello di diritti umani e di rispetto dell'ambiente. Secondo Beat Vonlanthen (PPD/FR), è inutile elaborare nuovi disposizioni di legge per "poche pecore nere". Gli strumenti giuridici attuali bastano e avanzano: "non c'è bisogni di prendere in ostaggio un'intera economia". Sia l'iniziativa che il controprogetto rischiano inoltre di mettere in pericolo l'attrattiva della piazza economica elvetica.

Secondo Thomas Hefti (UDC/GL) e Erich Ettlin (PPD/OW), inoltre, il controprogetto, estendendo il dovere di vigilanza anche ai fornitori, rende laborioso e estremamente costoso il lavoro di verifica, tanto più che, diversamente da quanto si crede, anche piccole e medie imprese elvetiche attive sul mercato mondiale sarebbero sottoposte a questa nuova regolamentazione.

Per Hannes Germann (UDC/SH) e Beat Rieder, sia con l'iniziativa che con il controprogetto si rischia una deriva all'americana della giustizia. Vi è il pericolo insomma di alimentare un'industria delle denunce a cui basta talvolta agitare lo spettro di una causa per obbligare le aziende prese di mira a pagare fiori di soldi.