(ats) Al termine di un lungo dibattito, il Consiglio nazionale ha approvato oggi la concessione di un secondo contributo di coesione all'Ue pari a 1,3 miliardi di franchi diluiti su dieci anni. Rispetto agli Stati, che dovrà riesaminare il dossier, la Camera del popolo ha raddoppiato i mezzi (da 190 milioni a 380 milioni) destinati a quei Paesi, come la Grecia o l'Italia, alle prese con una forte pressione migratoria.

Nel corso del dibattito odierno, la Camera del popolo ha respinto tutte le proposte di non entrata nel merito presentate dall'UDC, nonché una proposta sostenuta ad alcuni PLR e UDC di rinvio al Consiglio federale.

Il dibattito odierno è stato sfruttato soprattutto dai democentristi per denunciare l'accordo istituzionale con l'Ue. L'editore della Weltwoche, Roger Köppel (ZH) ha rinfacciato alla maggioranza in Parlamento di voler sottomettere la Svizzera ai giudici stranieri, insomma di svendere l'indipendenza della Svizzera, distruggendo in questo modo un modello di successo. E, colmo dei colmi, di essere anche disposti a concedere un ulteriore miliardo di coesione senza ottenere nulla in cambio. "Ma siamo diventati matti?", ha esclamato il consigliere nazionale UDC, chiedendosi se il il Parlamento non stesse vivendo "in un universo parallelo".

Proteste cadute nel vuoto: per la maggioranza il contributo di coesione è invece un segno tangibile di solidarietà nei confronti dei Paesi dell'Est volto alla loro stabilizzazione e al loro sviluppo, sviluppo di cui la Confederazione trae anche un beneficio economico.

"Per un Paese esportatore come la Svizzera è importante avere un accesso a questi mercati, con milioni di consumatori", ha affermato in aula il consigliere federale Ignazio Cassis. Manuel Tornare (PS/GE) ha sottolineato che l'Ue rimane pur sempre il nostro principale partner commerciale e finanziario. Si tratta anche di tendere una mano all'Europa, insomma di contribuire alla distensione delle nostre relazioni con Bruxelles, ha aggiunto Balthasar Glättli (Verdi/ZH). Diversi oratori hanno ricordato che la Svizzera potrà decidere quali progetti finanziare e potrà controllarne l'avanzamento. Insomma, non si tratta di un salto nel buio.

No condizioni precise

Il Nazionale doveva poi decidere se il versamento del contributo di coesione dovesse essere sottoposto a determinate condizioni. Nelle intenzioni della sua commissione preparatoria, la Svizzera avrebbe potuto assumere impegni concreti solo dopo che Bruxelles avesse garantito il riconoscimento dell'equivalenza della Borsa svizzera (oggi valida fino a giugno), la piena associazione al programma di ricerca Horizon Europe 2021-2027 (che succede a Horizon 2020, n.d.r.) e che non venissero adottate altre misure discriminatorie da parte dell'Ue nei confronti della Confederazione.

Alla fine, su invito anche del ministro degli esteri ticinese, il plenum si è espresso per una versione più blanda, adeguandosi in questo agli Stati, ossia: Bruxelles non dovrà adottare, mettendole in pratica, misure discriminatore nei confronti della Svizzera. Per diversi esponenti della sinistra, il contributo elvetico è troppo esiguo (0,13%), rispetto al budget globale, per funzionare veramente da arma di ricatto nei confronti di Bruxelles. "È inutile mostrare i muscoli, rischiamo solo di darci la zappa sui piedi", ha sostenuto in aula ancora l'ecologista Balthasar Glättli.

Quanto a Cassis, questi ha esortato i presenti, venendo ascoltato, a non iscrivere nella legge condizioni precise, creando così un legame giuridico tra temi del tutto indipendenti l'uno dall'altro, col rischio di "restringere il margine di manovra dell'esecutivo". Insomma, nessuna prova di forza da parte elvetica nei confronti di Bruxelles. Cassis ha comunque assicurato che il Consiglio federale avrebbe valutato il versamento del denaro anche alla luce delle relazioni con l'Ue.

Il plenum ha poi respinto una proposta di Carlo Sommaruga (PS/GE) che avrebbe voluto obbligare il governo, nel decidere la ripartizione dei mezzi finanziari tra i vari Paesi dell'est, a tenere conto dello Stato di diritto, della separazione dei poteri e della libertà della stampa. Per il socialista ginevrino si tratta di favorire Stati virtuosi: Paesi come la Romania, la Polonia e l'Ungheria stanno invece ponendo problemi circa il rispetto di alcuni valori fondanti dell'Ue, "che sono anche quelli della nostra Costituzione".

Più soldi per migrazione

A differenza degli Stati, il Nazionale ha poi accolto la proposta di raddoppiare i mezzi destinati alla migrazione, portandoli da 190 a 380 milioni. Una proposta che, per quanto possa sembrare contraddittorio, ha trovato appoggio anche tra i democentristi.

Concretamente, ha spiegato la consigliera federale Karin Keller-Sutter in aula, si tratta di aiutare Paesi come l'Italia, la Spagna o la Grecia a gestire meglio i flussi migratori. La Svizzera ha una certa esperienza in materia, per esempio nell'accelerazione dell'esame delle richieste di asilo o nell'aiuto al rimpatrio.

Il dossier ritorna al Consiglio degli Stati che potrebbe esaminare le divergenze in giugno oppure in settembre. Nel frattempo, il parlamento spera che i rapporti con Bruxelles possano migliorare. Il Consiglio federale dovrebbe inoltre esprimere entro l'estate una posizione definitiva sull'accordo istituzionale con l'Ue.

I piani di governo

Stando ai piani del Consiglio federale, una parte consistente dell'importo di 1,302 miliardi di franchi diluito su 10 anni (circa 130 milioni l'anno) dovrebbe andare a Paesi dell'Europa dell'Est quali Polonia e Romania, seguite da Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria e Bulgaria. 190 milioni verrebbero attribuiti (380 per il Nazionale) alla migrazione per l'integrazione dei migranti nella società e nel mondo del lavoro, e anche per rispondere a situazioni di urgenza, come ad esempio un forte afflusso di migranti.