(ats) L'obbligo di autorizzazione per la partecipazione di oratori stranieri a manifestazioni politiche in Svizzera, abrogato nel 1998, non va reintrodotto. È quanto ha deciso oggi il Consiglio degli stati per 27 voti a 13 e una astensione, seguendo la raccomandazione della sua commissione preparatoria e del Consiglio federale. Il dossier è archiviato.

Il 19 settembre scorso, il Consiglio nazionale si era invece pronunciato a favore della mozione del consigliere nazionale Daniel Fässler (PPD/AI) per 90 voti a 85 e 3 astenuti. Secondo Fässler, le disposizioni abrogate avevano dato buona prova per decenni, garantendo la quiete nel nostro Paese in questo settore. A suo avviso, la dimostrazione di decine di migliaia di sostenitori del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel 2016 a Colonia e l'intenzione degli organizzatori di dare la parola a politici turchi ha suscitato scalpore nell'opinione pubblica tedesca.

Queste comparse sono poi state proibite con una sentenza della Corte costituzionale federale. Secondo l'autore della mozione, la Svizzera farebbe bene a premunirsi contro tali situazioni tornando a vietare i discorsi di oratori politici stranieri a manifestazioni politiche.

A nome della commissione Andrea Caroni (PLR/AR) ha sostenuto che l'obbligo di autorizzazione era stato introdotto nel 1948, ossia in un periodo contraddistinto dalla cosiddetta "Guerra fredda". Tale divieto ha soprattutto interessato esponenti di sinistra, ma anche il Dalai Lama negli anni '70. Finito il confronto est-ovest, l'obbligo di autorizzazione è stato revocato.

Per Caroni, sostenuto in aula da Didier Berberat (PS/NE), reintrodurre il divieto sarebbe sproporzionato, nonché difficile da far applicare. Grazie ai mezzi moderni, come collegamenti Internet, una simile proibizione potrebbe essere facilmente aggirata. Berberat ha parlato anche di mozione "liberticida" che contrasta con la libertà di espressione garantita dalla Costituzione federale.

Per la maggioranza, le autorità dispongono già di mezzi legali a sufficienza per impedire a stranieri non residenti di pronunciarsi in pubblico quando è in gioco la sicurezza interna ed esterna del Paese. È il caso del divieto di ingresso pronunciato in passato nei confronti di predicatori islamisti.

Il "senatore" Filippo Lombardi (PPD/TI) ha invece difeso un ritorno al passato. "Se c'erano buoni motivi per un divieto durante la Guerra fredda, ce ne sono anche ora per reintrodurre l'obbligo di autorizzazione", ha affermato il ticinese. Si tratterebbe insomma di prevenire abusi e discorsi contrari ai nostri valori, ha sostenuto il "senatore" in aula spalleggiato dal collega Peter Hegglin (PPD/ZG).

Nel suo intervento, la consigliera federale Karin Keller-Sutter ha giustificato il "no" del governo alla mozione in nome della libertà di espressione e della difficoltà di far applicare una simile disposizione. La ministra di giustizia e polizia ha poi sostenuto che i valori democratici sono fortemente ancorati nella popolazione, popolazione che non si lascia facilmente travisare da discorsi radicali.