(ats) La decisione di venerdì scorso da parte del Consiglio federale di migliorare l'attuale accordo istituzionale con l'Ue è quella giusta. Volendo sostenere politicamente il governo nei suoi sforzi, il Consiglio degli Stati ha approvato oggi (22 voti a 14 e 6 astensioni) una mozione che chiede all'esecutivo di preservare l'attuale livello di protezione dei salari e gli aiuti statali, nonché di escludere dall'intesa la direttiva europea sulla cittadinanza.

Dal canto suo, l'Ue ha mostrato apertura, ma intende chiudere il capitolo "elvetico" in tempi brevissimi, ciò che non ha mancato di irritare molti politici.

La mozione vuole inoltre che i cittadini svizzeri continuino ad avere l'ultima parola in caso di ripresa dinamica del diritto europeo da parte della Svizzera e che vengano definite chiaramente quali fattispecie del diritto comunitario attuale e futuro danno adito a una consultazione della Corte di giustizia europea (CGUE) da parte del tribunale arbitrale.

Le decisioni dei tribunali svizzeri, secondo la mozione, non devono poter essere annullate indirettamente dalla CGUE. Devono inoltre essere previsti rapporti periodici sulle controversie pendenti e sulla loro composizione.

La mozione all'esame del plenum, che dovrà ancora essere trattata dal Nazionale, ha dato adito a una lunga discussione sui rapporti tra l'Ue e la Svizzera. Se una parte dei "senatori" - dal PLR al PS - ha giudicato l'atto parlamentare superfluo dopo la decisione del governo di non firmare l'accordo per chiedere chiarimenti a Bruxelles sui temi elencati dalla stessa mozione, diversi esponenti dell'UDC, come Peter Föhn (SZ), hanno approfittato dell'occasione per dire ancora una volta peste e corna di un'intesa che - a loro parere - antepone il diritto europeo a quello elvetico, svuotando di significato la democrazia diretta. Per Föhn, l'accordo istituzionale è "maledettamente cattivo" per la Svizzera.

Philipp Müller (PLR/AG), seppur contrario alla mozione, ha sostenuto al pari di altri oratori che l'intesa preserva invece i diritti popolari. Non vi è alcun automatismo nella ripresa del diritto europea. Il "senatore" argoviese ha poi paragonato la Svizzera al villaggio gallico di Asterix e Obelix, con la differenza che "non abbiamo la pozione magica in grado di farci battere i Romani". Insomma, a suo dire bisogna prendere atto della realtà.

Se non altro, ha aggiunto, l'accordo con Bruxelles ci dà sicurezza giuridica: in merito alle eventuali ritorsioni dell'Ue qualora la Svizzera decidesse di non adeguare la sua legislazione, perlomeno potremo contare sul fatto che simili misure dovranno essere "proporzionate", evitando quindi quanto accaduto con la mancata equivalenza della Borsa svizzera. Meglio quindi impostare le nostre relazioni con l'Ue sulla base del diritto, piuttosto che sul mero potere.

Alcuni esponenti di sinistra, per esempio Christian Levrat (FR) e Paul Rechsteiner (SG), hanno sostenuto la mozione e approfittato dell'occasione per ribadire l'importanza di mantenere le condizioni di lavoro in Svizzera, un atout che finora ha favorito l'accettazione popolare della via bilaterale con l'Ue e che più nessuno contesta.

In Gran Bretagna, ha spiegato Levrat, il fatto che la libera circolazione non fosse accompagnata da provvedimenti a tutela dei salari è alla base della "Brexit". Insomma, sì all'Europa purché "sociale". La mozione, a detta di Levrat e Rechsteiner, non fa che rafforzare la posizione del Consiglio federale nei confronti dell'Ue.

Stesso ragionamento da parte di Filippo Lombardi (PPD/TI), secondo cui in questa materia è molto importante cercare il consenso, per evitare un disastro in parlamento oppure di fronte al popolo.