(ats) In futuro sia i parlamentari che i membri del Consiglio federale dovranno essere obbligati a dichiarare se possiedono più nazionalità. Su questo progetto che realizza un'iniziativa di Marco Chiesa (UDC/TI) le due Camere si sono già dette d'accordo. Oggi il Nazionale -  con 112 voti contro 69 e 2 astenuti - ha però ribadito di voler stralciare dall'ordinanza l'obbligo di indicare anche l'indirizzo postale degli eletti. L'oggetto ritorna quindi agli Stati.

Secondo la maggioranza della Camera del popolo, togliendo l'indirizzo postale si eviterà l'invio di corrispondenza non richiesta e si farà in modo che i parlamentari non vengano molestati al domicilio. Si tratta insomma anche di una questione di rispetto della vita privata e di sicurezza, ha dichiarato la consigliera nazionale ticinese Greta Gysin (Verdi). "Siamo già raggiungibili all'indirizzo di posta elettronica e all'indirizzo postale del Parlamento", le ha fatto eco Angelo Barrile (PS/ZH).

Una minoranza, guidata dal presidente del Centro Gerhard Pfister (ZG), ha tentato invano di mantenere nell'ordinanza l'obbligo di indicare anche l'indirizzo postale del domicilio. Il motivo? Non tutti hanno dimestichezza con i moderni metodi di comunicazione. Ma al voto tale proposta è stata nettamente bocciata.

Trasparenza

Come detto, tra i due rami del Parlamento sussisteva solo questa divergenza. Quanto al fondo della questione, le Camere sono d'accordo, appellandosi alla trasparenza, che gli eletti indichino se hanno più nazionalità. Durante i dibattiti in prima lettura il campo rosso-verde si è dichiarato contrario a tale cambiamento, perché - a suo dire - la trasparenza sulle nazionalità avrebbe un intento discriminatorio volto ad ingenerare il sospetto che vi siano cittadini di serie "A" e cittadini di serie "B".

Per la maggioranza dei due plenum, l'indicazione della nazionalità rappresenta invece un dato rilevante. Vari oratori hanno rinfacciato al campo rosso-verde un atteggiamento contraddittorio, dal momento che questo schieramento politico si erge a paladino della trasparenza ogniqualvolta si tratti di far luce sui legami di interesse degli eletti, fino a chiedere l'origine dei proventi derivanti da attività che nulla hanno a che fare col mandato del popolo, mentre si tira indietro su questo aspetto.