Petra Gössi (PLR/SZ) - a nome della maggioranza della commissione contraria alla revisione legislativa - ha evocato un problema d'applicazione della legge proposta: le disposizioni sui salari minimi non sono uguali nei cantoni che le hanno introdotte. Non è dunque opportuno legiferare a livello nazionale, anche poiché i Cantoni possono risolvere da soli il problema.
"I problemi del canton Ticino li deve risolvere il Canton Ticino, così come ha fatto il Giura", ha aggiunto Thomas Burgherr (UDC/AG). Al confine con l'Italia servono soluzioni diverse rispetto a quelle necessarie a Ginevra, ha aggiunto l'argoviese esponendo la sua contrarietà nell'introdurre una soluzione a livello nazionale quando è possibile trovarne a livello locale.
Gössi ha poi anche sostenuto che la fissazione di salari minimi cantonali è una misura di politica sociale la cui attuazione spetta ai Cantoni, mentre la Legge federale sui distaccati (LDist) rientra nell'ambito della politica economica, di competenza della Confederazione. Burgherr ha anche detto di non volere "più Stato" nel settore. La proposta metterebbe a repentaglio il partenariato sociale, ha aggiunto Jürg Grossen (PVL/BE).
Qui non si tratta di decidere se i salari minimi siano una cosa positiva o negativa, ha replicato Fabio Regazzi (Centro/TI) a nome della minoranza. Ventitré cantoni su ventisei si sono mostrati favorevoli al progetto, la cui attuazione permetterebbe di garantire la certezza del diritto e la tutela dei lavoratori svizzeri.
Con la situazione attuale, ha proseguito Regazzi, le aziende dell'UE sono avvantaggiate rispetto alle PMI elvetiche. Il ticinese ha fatto l'esempio di una azienda italiana, che potrebbe offrire in Ticino servizi a prezzo più basso. Il salario minimo lombardo è infatti la metà di quello in vigore nel cantone italofono.
"Come possono i fautori di una concorrenza libera e equa respingere questo progetto che mira proprio a evitare una distorsione della concorrenza?", si è chiesta Greta Gysin (Verdi/TI) domandando solidarietà con i cantoni di frontiera come il Ticino che hanno una difficoltà oggettiva con le aziende dell'UE. Questa legge chiede unicamente di applicare le stesse condizioni a tutte le ditte attive in Svizzera, ha sostenuto Bruno Storni (PS/TI).
Il problema è innegabile e non si risolverà negando una discussione, ha sostenuto a nome dell'Alleanza del Centro Markus Ritter (SG). Una base legale è necessaria per evitare ricorsi il cui esito non è scontato, ha aggiunto.
Il progetto tiene conto della ripartizione delle competenze tra Cantoni e Confederazione stabilita nella Costituzione federale e garantisce l'osservanza del principio di non discriminazione sancito nell'Accordo sulla libera circolazione tra la Svizzera e l'UE, ha precisato da parte sua il consigliere federale Guy Parmelin.
L'oggetto torna ora al Consiglio degli Stati. Qualora dovesse confermare la non entrata in materia, il progetto verrebbe definitivamente affossato.
La mozione
Con la sua mozione, Abate avrebbe voluto iscrivere nella Legge federale sui distaccati (LDist) il rispetto del salario minimo laddove esiste. Alla base dell'atto parlamentare inoltrato nel 2018 e approvato dai due rami del Parlamento, c'era l'introduzione, nei cantoni di Neuchâtel, Giura e Ticino (a cui si sono aggiunti nel frattempo Ginevra e Basilea Città), di leggi sul salario minimo per contrastare il dumping sociale e salariale.
La revisione della legge prevede la possibilità di imporre ai datori di lavoro esteri che inviano i propri dipendenti in Svizzera anche il rispetto delle condizioni salariali minime prescritte a livello cantonale. Questo aspetto non è al momento regolato nella LDist.
Per rispettare le norme salariali, le aziende e i relativi lavoratori dislocati dovrebbero rientrare nel campo d'applicazione delle leggi cantonali in materia. Il rispetto delle disposizioni sarebbe controllato dai Cantoni in base al diritto cantonale.