Fa stato il testo parlato.
Egregio Signor Presidente Riccardi,
Egregio Signor Segretario generale Masi,
Gentili Signore, egregi Signori
Grazie
mille di cuore Presidente Riccardi per questo premio da parte della
società Dante Alighieri e per le sue gentili parole di stima. Sono
estremamente onorata di essere qui oggi a poter ricevere questo
prestigioso riconoscimento.
Voglio iniziare con una citazione
del grande linguista Tullio de Mauro tratta dal suo recente libro
“l’educazione linguistica democratica”. Una citazione nella quale mi
identifico e che descrive bene il mio rapporto con la lingua italiana.
"Una lingua, voglio dire una lingua materna in cui siamo nati e abbiamo
imparato a orientarci nel mondo, non è un guanto, uno strumento usa e
getta. Essa innerva dalle prime ore di vita la nostra vita psicologica, i
nostri ricordi, associazioni, schemi mentali. Essa apre le vie al consentire
con gli altri e le altre che la parlano ed è dunque la trama della
nostra vita sociale e di relazione, la trama, invisibile e forte,
dell’identità di gruppo."
Uno degli elementi principali per il
mantenimento dell’identità di un Paese è appunto la lingua. In un paese
come Svizzera questo sembra di primo acchito un problema, con il rischio
che si creino delle divisioni tra le varie regioni linguistiche. In
particolare pensando alla distribuzione numerica iniqua delle lingue
ufficiali, con il tedesco indicato quale lingua principale dal 63% della
popolazione residente, il francese dal 23% e l’italiano unicamente dal
8%. A ciò si aggiunge anche la frammentazione territoriale
dell’italiano, con la metà degli italofoni concentrati nella cosiddetta
Svizzera italiana - il Cantone Ticino e parte del Canton Grigioni -, e
l’altra metà sparpagliati su tutto il territorio nazionale.
Nonostante
questa situazione particolare, o forse proprio grazie a questa
situazione, penso che sia la coesione tra i diversi idiomi e culture che
faccia la forza del nostro paese. Infatti l’italiano non è solo una
lingua, ma una cultura a sé e allo stesso tempo una colonna portante
della cultura svizzera. Ognuna delle tre lingue ufficiali elvetiche ha
la sua identità e le sue tradizioni, ma è la loro somma che fa la
Svizzera. A prescindere dal numero di persone che lo parlano
quotidianamente, l’italiano ha quindi la medesima importanza del tedesco
e del francese nel definire la Svizzera, la sua cultura e la sua
coesione.
Ne risulta che il plurilinguismo e la protezione delle
minoranze confessionali e linguistiche sono, accanto alla democrazia
diretta e al federalismo, fattori centrali dell'identità nazionale. Così
importanti che diventano oggetto di discussione pubblica. Così, benché
nel 1996 il popolo svizzero avesse approvato in una votazione popolare
l'inserimento nella Costituzione federale dell'articolo sulle lingue,
nel 2004 il Governo federale ritirò per motivi di risparmio una legge
sulle lingue che avrebbe implementato l’articolo costituzionale
sostenendo di disporre già degli strumenti necessari. Ci volle una
decisione del parlamento per far sì che si elaborasse comunque un
disegno di legge per dare seguito alla modifica della costituzione che
poneva le basi del plurilinguismo fissando come obiettivo quello di
incentivare la coesione interna e la diversità culturale del Paese.
Nonostante
questo plurilinguismo riconosciuto a livello istituzionale, la
situazione non è perfetta e negli ultimi vent’anni anni la distanza tra
la Svizzera italiana, Ticino in particolare, e resto della Svizzera è
aumentata. Le ragioni sono diverse a partire dalla chiarissima posizione
minoritaria dell’italiano rispetto al tedesco e al francese; così come a
causa della globalizzazione che ha favorito lo sviluppo economico della
Svizzera a nord delle alpi a scapito del sud del paese. Sud che,
vivendo una situazione più difficile dal punto di vista economico, si è
in parte chiuso su sé stesso aumentando le difficoltà di comprensione
del resto della Svizzera. D’altronde le rivendicazioni linguistiche in
Svizzera sono sempre state legate a delle rivendicazioni sociali ed
economiche, come quello di uno sviluppo distribuito più equamente sul
territorio nazionale. Come rappresentante di una minoranza culturale e
linguistica ho vissuto sulla mia pelle questa crescente distanza e
quindi come politica mi sono da subito posta l’obiettivo di cercare di
riavvicinare le diverse componenti del nostro paese. Nella lingua
italiana ho trovato uno strumento per portare avanti questo obiettivo.
Quale migliore occasione quindi se non quella della mia presidenza del
parlamento svizzero, Consiglio nazionale e dell’Assemblea federale? Come
non utilizzare questa grande opportunità datami dal mio ruolo di
presidente e la visibilità che ne consegue per dare giusto valore al
plurilinguismo sul quale si fonda il mio paese, dando lo spazio che si
merita all’Italiano anche nella vita politica? Come non parlare di
cultura in senso generale, di cultura politica e nel contempo di
coesione nazionale e sociale? Come non cercare di capire e integrare le
diverse culture e minoranze che compongono un paese?
Da qui la mia
scelta di porre queste tematiche, assieme alla questione della
sottorappresentanza delle donne in politiche, al centro del mio anno
presidenziale e concretamente decidere di condurre i lavori parlamentare
in italiano. Una decisione che vuole dare alla lingua italiana il suo
giusto posto e riconoscimento anche nella politica svizzera, fungendo in
tal modo da stimoli a rafforzare la lingua e cultura italiana anche in
altri ambiti. Come ho già avuto modo di dire non si tratta di una scelta
meramente simbolica; ma una che ha prodotto dei cambiamenti che
verosimilmente dureranno nel tempo, spingendo più membri di parlamento e
Governo, così come persone professionalmente attive nei servizi del
parlamento, a parlare in italiano. Allo stesso tempo ha fatto sì che
cittadine e cittadini mi abbiano contattato per questioni inerenti alla
lingua italiana in Svizzera o semplicemente per esprimermi il loro
sostegno.
La mia scelta ha quindi a che vedere con la consapevolezza
che l’identità di un paese si basa anche sulla capacità che esso ha di
riconoscere, sostenere e valorizzare le diverse componenti che lo
compongono. Ma non solo. Come sottolinea il grande linguista Tullio di
Mauro sono anch’io dell’opinione che la padronanza della lingua sia
garante di democrazia e che vadano rimossi tutti quelli ostacoli che si
frappongono alla piena partecipazione delle cittadine e dei cittadini
alla vita democratica. L’ho vissuto io stessa: per quanta padronanza
possa avere delle altre due lingue ufficiali svizzere, il tedesco e il
francese, mai l’espressione di quanto voglio dire, la trasmissione delle
mie idee e conoscenze sarà tale quanto quando parlo in italiano. Il mio
modo di raccontare le cose, di descrivere i problemi e le possibili
soluzioni cambia a dipendenza di che lingua e che parole uso e cambia a
dipendenza da che cultura provengo. Per citare un altro studioso
italiano, il professor Marco Biffi, “le lingue servono sì per
comunicare, ma prima di tutto servono per pensare; e tutti noi pensiamo
nella nostra lingua materna” e ancora “il pensiero e la speculazione
sono strettamente connessi alla lingua in cui sono articolati, alle
caratteristiche socio-culturali di chi pensa”.
D’altronde, come
ricordato da Verio Pini già responsabile della Segreteria per la
Svizzera italiana e della Divisione italiana dei servizi linguistici
centrali presso la Cancelleria federale nel suo interessante libro
“Anche in italiano”, l’esigenza che le leggi siano proposte, discusse e
sancite anche in lingua italiana, e come testo originale, era stata
posta con chiarezza dal Gran Consiglio - il parlamento - del Canton
Ticino già nel 1882”. Queste rivendicazioni, poi sancite ma non sempre
ancora completamente attuate, sono spesso state accompagnate da
rivendicazioni di un maggiore riconoscimento della Svizzera italiana, di
creazione di posti di lavoro pubblici in Ticino, ma anche di
assegnazione di posti di lavoro presso la Confederazione di persone di
lingua italiana e non da ultimo dalla richiesta di una presenza di un
consigliere federale – un ministro - di lingua italiana in seno al
Governo svizzero, richiesta che ha accompagnato in maniera molto forte
la nomina dell’attuale ministro degli esteri Ignazio Cassis. Non è
quindi un caso che la Svizzera disponga di una delegata al
plurilinguismo, di misure di sostegno anche finanziario a organizzazioni
e istituti che si occupano di plurilinguismo e ai cantoni plurilingue,
ma anche indicazioni di obiettivi percentuali della presenza di persone
delle minoranze linguistiche nelle unità amministrative
dell'Amministrazione federale e in particolare nelle funzioni di quadri.
Obiettivi questi ultimi che purtroppo non sono sempre raggiunti, come
ha mostrato ancora un recente rapporto.
Se la lingua è democrazia e
partecipazione l’obbiettivo deve infatti essere quello che ognuno,
ovunque, nel mondo del lavoro, nella politica, nell’amministrazione,
nelle scienze possa pensare, scrivere e contribuire partendo dalla
propria lingua e cultura. In un mondo sempre più globalizzato e
orientato all’inglese quale lingua internazionale compresa dalla maggior
parte della popolazione mondiale, reputo la difesa e la promozione
della nostra lingua di fondamentale importanza. La Svizzera si è dotata
di strumenti legislativi e politici per salvaguardare le lingue
nazionali, riconoscendo il contributo del plurilinguismo e delle lingue
minoritarie. L’ha fatto con la legge sulle lingue. Il diritto all’uso
della propria lingua è un diritto universale, protetto dalle
costituzioni di molti paesi, quella svizzera ma a quanto mi risulta
anche quella italiana. Dietro questo diritto si cela il diritto alla
partecipazione alla vita sociale e politica.
Oltre agli aspetti
di legami personali, di questioni democratiche e partecipative, anche a
livello culturale la valorizzazione dell’italiano risulta fondamentale. È
vero che l’italiano, dal profilo puramente numerico e di diffusione
geografica nel mondo, è una lingua di nicchia. Ma è anche vero che
l’italiano si presenta prima di tutto come una lingua di grande
tradizione culturale, legata all’arte, alla musica, al turismo, alla
letteratura. L’italiano è infatti più che una lingua. È una cultura, un
modo di vivere, un’identità. È allo stesso tempo una colonna portante
certamente dell’Italia, ma anche della Svizzera e di quei milioni di
italiani che vivono sparsi nel mondo. L’italiano è ciò che ci accomuna
pur trovandoci in diverse parti del mondo. Un bene comune da difendere e
rafforzare per utilizzarlo in maniera consapevole in modo da percepire
gli effetti che l’utilizzo della lingua ha sugli altri e nella società
odierna.
L’italiano va senza dubbio protetto, introducendo misure
concrete per difenderlo e mantenerlo lingua viva, ma va anche studiato e
diffuso. Studio e difesa, due approcci complementari che sono necessari
per garantire un futuro alla nostra meravigliosa lingua. Due approcci
complementari che si ritrovano anche oggi in questa sala. Mentre io ho
cercato di dare il mio modesto contributo alla difesa e alla promozione
dell’italiano dal profilo politico, voi come società Dante Alighieri
svolgete un ruolo importante nello studio e nella promozione della
stessa dal profilo socioculturale. Ci tengo quindi a ringraziarvi
innanzitutto per il vostro lodevole impegno e per il riconoscimento con
il quale mi avete onorata, auspicando che si possa rafforzare la
collaborazione. Grazie e viva l’italiano!